LA DEA DEL PARTO

brano tratto dal libro LE DEE VIVENTI di Marjia Gimbutas

Le statuette che rappresentano la nascita sono testimonianza eloquente del ruolo più ovvio della dea, quello di dispensatrice della vita. Gli artigiani del neolitico la riproducevano seduta o semireclinata nella posizione del parto, con le ginocchia piegate e le gambe sollevate, talvolta con una mano dietro la testa, la vulva dilatata nel travaglio: la condizione fisiologica che precede immediatamente la nascita. La presenza di maschere e di tracciati simbolici su molte di queste statuette del parto conferma la loro natura spirituale e l’intento dell’artigiano di comunicare con la dea. La dea della nascita è presente per più di ventimila anni, dal paleolitico superiore fino a tutto il neolitico. Può anche manifestarsi sotto forma trinitaria, come le tre dee del fato tipiche delle prime religioni storiche: le Norne dei Germani, le Moire dei Greci, le Parche dei Romani sono tutte dee fatiche raggruppate in trinità.

 
La Dea anatolica
sul trono del parto
(Çatal Hüyük, Turchia)

La nascita era un evento sacro – di fatto uno degli eventi più sacri attestati dalla religione del neolitico. Nel primo neolitico si allestivano camere speciali in cui aveva luogo il parto, camere che possono essere considerate una sorta di santuario della nascita. A Çatal Hüyük, nella Turchia centro meridionale (antica Anatolia), gli scavi fecero emergere una camera in cui probabilmente venivano celebrati rituali connessi alla nascita. La camera è dipinta di rosso, va detto che il rosso, il colore del sangue, era considerato il colore della vita. Figure illustrate sulle pareti illustrano donne partorienti, mentre forme circolari e linee ondulate dipinte accanto simboleggiano la cervice, il cordone ombelicale e il liquido amniotico. Una piccola piattaforma intonacata potrebbe essere stata usata per il parto effettivo. Il colore e i simboli presenti nella camera suggeriscono che la nascita veniva considerata un evento religioso, accompagnato da rituali. Nell’isola di Malta, nel Mediterraneo centrale, i manufatti dei templi di Tarxien e di Mnajdra indicano pratiche simili, compreso il modello di un piccolo giaciglio da parto e una statuetta del parto con nove linee tracciate sulla schiena.

La connessione tra umidità, vita e dea del parto contiene un profondo significato cosmologico. La vita umana incomincia nel regno acqueo di un utero di donna, così per analogia la dea era la sorgente di tutta la vita, umana, vegetale e animale. Essa regnava su tutte le fonti d’acqua: laghi, fiumi, sorgenti, pozzi e nuvole di pioggia.

Il fatto che la dea generasse vita nuova è alla base dei simboli d’acqua come reti, onde e linee parallele. La nuova vita sgorga da un misterioso regno acqueo, analogo al liquido amniotico uterino. Il simbolo della rete, rintracciabile dal neolitico fino all’epoca storica, sembra essere associato in modo privilegiato con il liquido mistico dispensatore di vita. La rete simbolica ricorre in quadrati, ovali, circoli, losanghe, forme vescicolari, triangoli (triangoli pubici) e strisce, su vasi e statuette, spesso in relazione con serpenti, orsi, rane, pesci, teste di toro e di cervo.

Anche in epoca storica pozzi, fonti e specchi d’acqua sono stati considerati luoghi sacri di guarigione, abitati da divinità femminili. Molti dei primi pellegrini cristiani visitavano fonti il cui santo patrono era femminile (di solito la Vergine Maria o, in Irlanda, santa Brigida).

La dea del parto sopravvisse nella religione della Grecia classica come Artemide Eileithya, e nel folclore pan-europeo come una delle tre dee o Parche. I Lettoni e i Lituani celebravano la nascita nelle saune fino al ventesimo secolo, si propiziavano Laima, la dea del parto, filatrice e tessitrice della vita umana, con offerte che prevedevano il sacrificio di una gallina, oppure la dedicazione di drappi o altri tessuti. 

Marija Gimbutas (Vilnius, 23 gennaio 1921 – Los Angeles, 2 febbraio 1994) è stata un’archeologa e linguista lituana naturalizzata statunitense. 

Autrice di oltre 20 opere e 200 pubblicazioni su argomenti che spaziano dalla mitologia dell’Antica Europa alla religione della Grande Dea e alle origini delle culture indoeuropee. 

A lei si deve l’ipotesi delle “steppe“ (il popolo “Kurgan“ che avrebbe soppiantato la millenaria cultura matrifocale dell’Europa Antica) e la catalogazione e decifrazione di migliaia di statuette e immagini della “Dea“. Fra le sue opere più importanti si ricorda Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea Madre nell’Europa Neolitica.

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